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Personaggi: Bellini | Pirandello | Archimede | Capuana | Rapisardi | Domenico | Torresi | Musco | Baudo | Verga | Sciascia | Natale Turco | Fiorello | Mortoglio

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BELLINI VINCENZO
Bellini Vincenzo (Catania 1801-1834) Musicista

PIRANDELLO LUIGI
Pirandello Luigi (Agrigento 1867-1936) Premio Nobel 1934. Scrittore.


Verga Giovanni (Catania 1840-1922) Scrittore.

ARCHIMEDE
Archimede 
(Siracusa 287-212 a.C.) 
Matematico. Il più grande scienziato dell´antichità.


Rapisardi Mario (Catania 1844 - 1912) Poeta.


Capuana Luigi (Mineo 1839-1915) . Narratore.

 

ALTRI PERSONAGGI SICILIANI:

Domenico Miciu

Enzo Torresi

Angelo Musco 

Pippo Baudo

Giovanni Verga

Leonardo Sciascia

Natale Turco

Rosario Tindaro in Arte Fiorello

Nino Mortoglio

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Personaggi illustri Siciliani

Benedetto Civiletti | Manfredi | Michele Amari | Caronda da Catania | Enrico Albanese | Francesco Crispi | Guglielmo Albimonte e Francesco Salomone | Giacomo Cusmano | Stanislao Cannizzaro | Damocle | Iceta | Federico II di Honenstaufen | Diodoro d’Agira | Empedocle | Falaride | Giuseppe Mulè | Giovanni Meli | Pietro Novelli | Nicolò Palmeri | Enrico Petrella | Stenio | Ruggero Settimo | Giuseppe PitrèDomenico Scinà | Stesicoro | Antonio Veneziano | Lionardo Vigo | Ecc...

Caronda
Vissuto nel quinto secolo a.C. Fu il più antico e famoso legislatore. Diede savie e profonde leggi, non solo alla Sicilia, ma alla Magna Grecia. Fondò la prima accademia, detta degli Onisipii, ove si raccoglievano cittadini insigni per intelletto e costumi. Fu il primo che consacrò nelle leggi l’obbligo dello Stato di provvedere gratuitamente all’educazione della gioventù. Istituì a Catania il primo ginnasio per lo studio della letteratura greca. Le sue leggi sono state esaltate anche dal moderni, quali Tommaseo, Gioberti e altri. Secondo la leggenda, Caronda si uccise per avere violato una legge da lui stesso data, la quale sanciva, pena di morte, che nessun cittadino potesse partecipare armato alle pubbliche assemblee. Il suo sepolcro a Catania esisteva sino al 1740.

Benedetto Civiletti (1845-1899)
Sommo scultore Palermitano. Allievo di Benedetto Delisi e del Dupre. Fu il maggiore esponente dello stile verista; Molto lavorò nella sua breve esistenza e produsse con straordinaria fecondità. Ventottenne realizzò il gruppo «Canaris» celebrando l’indipendenza greca: gruppo premiato con medaglia d’oro a Parigi, e gli procurò grandi onori in Italia e all’estero. Ultimo suo lavoro «La Tragedia» (leone a destra guardando) dello scalone del Teatro Massimo di Palermo: opera di superba concezione. Artista geniale, padrone della linea e del tocco, disseminò in pubbliche piazze, in cimiteri e fuori di Sicilia opere d’indiscusso valore.

Francesco Crispi (Ribera 1818 - Napoli 1901)
Patriota e statista italiano Fu tra i fautori della costituzi
one del 1848, e tra i propugnatori di un federalismo italiano in cui fosse riconosciuto alla Sicilia un’esplicita autonomia. Eletto deputato voto contro la dinastia borbonica. Sopravvenuta la reazione, andò in esilio in Piemonte, dove esercitò il giornalismo. Ma ne fu espulso per le sue tendenze repubblicane. Da Malta si trasferì a Londra dove conobbe Mazzini e modificò il proprio programma in senso unitario. Ma nel 1859 ritornò in Sicilia a suscitarvi la rivoluzione. È suo merito di avere suscitato e sospinto la impresa dei Mille. Durante la spedizione divenne segretario di Stato della Dittatura (maggio 1860) e provvide all’organizzazione e all’amministrazione dell’Isola. Al fine supremo dell’unificazione italiana dovette convertirsi alla monarchia. Celebre la sua frase: «La Monarchia ci unisce», ormai, con i tempi nuovi, rovesciata. Più volte Ministro e Presidente dei Ministri, concluse l’alleanza italo-tedesca. Un suo grave errore: Nelle insurrezioni dei Fasci Siciliani dei Lavoratori (1894) egli Presidente dei Ministri, anziché studiare i mezzi per risolvere i disagi dei lavoratori stessi, provvide con lo stato di assedio, generando profonda amarezza nei Siciliani. Seguì una politica coloniale che segnò la fine della sua carriera politica.

Giacomo Cusimano
il medico sacerdote detto il «servo dei poveri», morì a soli 54 anni nel 1888. Fondò a Palermo e in diversi centri della Sicilia il «Boccone del Povero» per il ricovero e l’assistenza degli orfani, vecchi ed infermi. Alessio Di Giovanni scrisse di Lui «Benestante, sacrificò le proprie ricchezze per prodigarle ai poveri; medico valente e stimato abbandona la lucrosa professione d’un luminoso avvenire, per farsi umile fra gli umili: infermiere, servo, postulante, non per se, ma per i poveri di Cristo. Così egli compra terreni, fabbrica case ed opifici, accoglie a braccia aperte vecchi e inabili ragazze pericolanti, orfani derelitti, senza contarne mai il numero, senza perder mai la sua angelica serenità, nemmeno quando non ha un centesimo in cassetta, né un tozzo di pane in dispensa né letti, né nulla. E il Signore spesso provvedeva in una maniera inaspettata ed impressionante, che destava meraviglia».

Damocle
fu cortigiano di Dionigi, tiranno di Siracusa. Egli soleva magnificare la sorte, la ricchezza e la potenza del suo signore. Ma questi, per fargli capire che la vita del tiranno non è tutta rose, lo fece sedere con sé a lauta mensa, ma con una pesante spada appesa al soffitto per un crine di cavallo in direzione della testa. Sicché di momento in momento il filo si poteva rompere e la spada conficcarglisi sul suo capo. Damocle, atterrito, pregò Dionigi di essere dispensato dall’alto onore di sedere alla mensa reale. Da ciò la frase «Spada di Damocle» per dire pericolo o minaccia che non dà requie.

Diodoro d'Agira, detto siculo
Nato in Agirum, oggi San Filippo di Argirò. Visse sotto Giulio Cesare ed Augusto. Visitò la Grecia, l’Asia, l’Egitto, l’Europa e fu anche a Cartagine. Scrisse, in trenta anni di fatica, la Storia del generale, in quaranta libri. Di essi non ne restano che quindici. Incominciò con i fatti accaduti prima della guerra di Troia e finì con la guerra di Cesare nelle Gallie. Consultò Tucidide, Senofonte, Apollodoro, Timeo ed altri. I suoi libri sono ancora fonte preziosissima di notizie. Morì a Roma a 77 anni.

Empedocle (495-435 a.C.)
Nacque in Acracante (Agrigento). Indefesso studioso e di profondo ingegno, fu filosofo, medico, botanico, architetto, ingegnere idraulico riuscendo valente in ogni scienza; oratore insigne, poeta celebratissimo dagli antichi. Fra i suoi poemi e celebre quello della «Natura delle cose» del quale rimangono pochi frammenti. Si trovano ricordate le sue teorie in opere di Platone, Aristotile, Cicerone ed altri. Amante della libertà, non volle essere re degli Acracantini, ma raffrenò, con l’elemento democratico l’antica oligarchia (cioè il dominio violento di poche persone) della città gloriosa. Perseguitato però dagli oligarchici fu costretto ad esulare. Si dice che Empedocle animato dal desiderio di investigare i fenomeni dell’Etna si spingesse sin dentro il cratere del vulcano, ma, per disgrazia, vi precipitò dentro.

Falaride
Tiranno molto crudele di Agrigento, morto nel 555 a.C., fu amante della sapienza e dei sapienti. Tante volte però si dimostrò umano, forse perché le sue efferatezze erano per lui di fine politico. Uno scultore a nome Pericle (o Perillo), per ingraziarsi il tiranno e farlo divertire, costruì un toro di bronzo, fatto in modo da rinchiudervi un uomo e farlo morire fra orribili strazi, anche per il fuoco che si sarebbe acceso all’esterno, per riscaldare il bronzo; e i gemiti della vittima sarebbero usciti dalla bocca dell’animale come veri muggiti. Falaride, invece di gradire l’orribile dono, ne fu tanto indignato che ordinò di rinchiudervi lo stesso artefice per sperimentare l’orribile strumento. Infatti Pericle vi morì fra atroci spasimi, subendo la sorte che egli aveva ideato per gli altri.

Federico II di Honenstaufen (Jesi 1194 - Lucera 1250)
Figlio di Enrico IV e di Costanza d’Altavilla, nipote di Federico I di Svevia (Barbarossa). Imperatore del Sacro Romano Impero. Nel 1208 assunse il governo del regno di Sicilia e Puglie. Molte e difficili furono le sue vicende politiche e guerresche. Ci limitiamo a dire che fu un uomo di cultura, legislatore tempra di principe illuminato del Medioevo. Le maggiori cure dedicò al regno di Sicilia, ove tenne splendida corte in Palermo. Fondò l’Università di Napoli e nuove città. Incoraggiò le attività economiche; promulgò le celebri costituzioni di Melfi. Coltissimo (conosceva cinque lingue, e in Sicilia parlava il siciliano). Amò circondarsi di dotti. Fu egli stesso scrittore e poeta. A lui si deve il sorgere di quella Scuola Siciliana che fu culla della poesia italiana.

Iceta
Fu un grandissimo scienziato e geografo, nato a Siracusa cinquecento anni circa prima della venuta di Gesù Cristo al mondo. Egli fu il primo ad affermare che la Terra è un corpo di forma sferica e rotea incessantemente nell’infinito spazio, senza essere sospeso o appoggiato ad alcun cardine. Spetta pertanto ad un Siciliano il merito di avere intuito e risolto una profonda e difficile questione astronomica, che solo molti secoli dopo la scienza poté provare.

Manfredi (Palermo 1232 Battaglia di Benevento 1266)
Figlio di Federico II e di Bianca Lancia. Re di Puglia e di Sicilia; ricordato da Dante nel terzo canto del Purgatorio. Uomo d’ingegno; curò le armi e le lettere. Amava le musica e si dilettava di cantare e suonare. Incoraggiò le Accademie di Palermo e di Napoli. Vissuto in tempi difficili, nella lotta tra il papato e il suo regno. Assolse con onore e coraggio diversi importanti incarichi affidatigli dal padre. Fu incoronato re nella Cattedrale di Palermo nel 1258. Il papa Urbano IV gli mise contro Carlo d’Angiò, ma pur non tremando di fronte al forte esercito di costui, fu sconfitto ed ucciso presso Benevento. Con lui fini la dinastia degli Hohenstaufen.

Giovanni Meli (Palermo1740 - 1815)
Sommo poeta vernacolo siciliano, detto per certi aspetti, il Dante della Sicilia. Esercitò giovanissimo la professione di medico nel comune di Cinisi. Chiamato poi all’università di Palermo v’insegnò, con speciale competenza, chimica e botanica; delle quali materie lasciò importanti scritti scientifici. Sceverò nella sua feconda produzione letteraria l’anima del popolo siciliano, esponendola con espressivi versi, così da fare apparire moventi le scene con l’occhio della fantasia, e dando ad essi, oltre il pensiero, musicalità, sentimento e contenuto. Seguì le nobili tradizioni del Veneziano e del Rau. Sue opere principali sono: La Bucolica; La Fata galante; Don Chisciotte e Sancio Panza; Sarudda.

Giuseppe Mulè (Termini Imerese 1885 - Roma 1951)
Distinto musicista. Volle sepoltura nella sua terra «dei canti e dei fiori». Fu direttore dei Conservatori di Palermo e di Roma. Sue opere «Baronessa di Carini», «Al lupo», «Dafni» «Liolà», «La monacella», ecc., pervase tutte da musica moderna a sfondo siciliano. Riuscitissime le composizioni per drammi mistici, nelle Rappresentazioni classiche di Siracusa. Il suo «Largo» composto agli albori della sua carriera, rapisce lo spirito.

Pietro Novelli (1603 - 1647)
Nacque a Monreale e morì a Palermo. Pittore immaginoso e forte. Lasciò una infinità di lavori, tra i quali, notevolissimi, a Monreale; il «San Benedetto» nell’ex monastero dei Benedettini e il «Sant’Antonio Abate» nella chiesa de1 Carmine di Palermo; la « Maddalena» nella chiesa di Santa Zita e il «San Filippo d’Argirò» nella chiesa di Gesù, a Casa Professa; e nella chiesa di San Martino delle Scale un altro «San Benedetto» che è di una vivezza estrema e d’una efficacia possente.

Nicolò Palmeri (Termini Imerese 1778 - 1837)
Studiò profondamente storia naturale, algebra, geometria, matematica sublime, fisica sperimentale, eloquenza, economia politica, agricoltura e legge. Il Parlamento siciliano lo ebbe nel 1812 e redisse, con Paolo Balsamo, la nuova costituzione siciliana. Come attore e come storico, delineò e discusse il suo «Saggio storico e politico sulla costituzione del regno di Sicilia fino al 1816» per cui egli scrisse che lo storico deve abbracciare «con sagace discernimento dei fatti stessi, che narra, quali siano state le forme politiche con cui i popoli si sono retti; quali le loro civili consuetudini; la religione; il numero degli abitanti; le sorgenti della pubblica e privata ricchezza; le lettere; le scienze; le arti... cause dell’incremento o della decadenza. Allora la storia è scienza, e forse più utile di tutte». Scrisse inoltre: «Cenni storici sulla rivoluzione del 1820 in Sicilia» e molti opuscoli riguardanti la tecnica agraria e l’economia.

Enrico Petrella (1813 - 1887)
Palermitano, morì povero all’ospedale di Genova. Suo capolavoro «Jone» che comprende la famosa marcia funebre, palpitante e sublime pagina musicale che si ascolta sempre con accorata commozione.

Giuseppe Pitrè (Palermo 1841 - 1916)
Medico, folclorista insigne. Storico. Professore di demopsicologia nell’Università di Palermo. Raccolse e studiò le tradizioni popolari (usi, costumi, spettacoli, feste, ecc.) Formò così la sua monumentale Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane in 24 volumi. Pregevoli monografie precedono i Canti popolari, le Novelle, i Proverbi, gli Indovinelli, i Giuochi fanciulleschi. Organizzò a Palermo un prezioso Museo Etnografico Siciliano, oggi nella Casina Cinese alla Favorita, a Palermo. Fu Presidente dell’Accademia di Scienze, lettere ed Arti; dell’Accademia di Medicina; della Società di Storia Patria e Socio di moltissime Accademie e Istituti scientifici stranieri.

Domenico Scinà (Palermo 1765-1837)
Profondo negli studi sperimentali e nella storia. Fu il primo ad insegnare Fisica all’Accademia di Palermo e ne pubblicò gli «Elementi». Ottenne lodi dai più grandi cultori d’Italia. Per la storia, il suo campo fu la Sicilia «degna di essere oggetto di studio e di contemplazione dei più grandi intelletti che hanno saputo apprezzare ed illustrare le sue glorie antiche e moderne» (Matteo Musso). Scrisse l’elogio di Maurolico, la Vita di Empedocle; un discorso sopra Archimede. Pubblicò la «Storia letteraria di Sicilia» mostrando come la civiltà procede col movimento delle lettere e delle scienze. In seguito comparvero due volumi «Primo periodo della letteratura greco-sicula». Si aspettava il terzo, ma il nefasto colera del 1837, gli troncò la vita, insieme ad innumerevoli insigni cittadini.

Ruggero Settimo (Palermo 1776 - 1863)
Legato alla storia della gloriosa rivoluzione siciliana del 12 gennaio 1848, ne fu il Presidente del Governo che ne consegui. Della famiglia dei Principi di Fitalia e Marchesi di Giarratana aveva il privilegio di portare lo stendardo davanti al sovrano. Imbarcato nella R. Marina, per nobile carriera, rese importanti servizi in ispecie per la distruzione dei corsari. Nel 1812 fu nominato Ministro della Guerra e Marina e Retroammiraglio. Fu amico intimo di Carlo Cottone. Al ritorno dei Borboni nel 1849 si esiliò a Malta. Dopo i fatti del 1860, Vittorio Emanuele II lo nominò Presidente del Senato italiano. Ma la morte lo colse, la sua salma riposa al Pantheon di San Domenico in Palermo. La bella statua che sorge nella piazza del Politeama di Palermo, dello scultore Delisi, lo rappresenta nell’austerità del suo animo nobilissimo.

Stenio
Cittadino leale. Termini Imerese, al tempo delle lotte tra Mario e Silla, era in potere di Roma. Il capo della città, Stenio, avvalendosi del suo ascendente e della sua autorità, aveva indotto i Termitani a porsi dalla parte di Mario contro Silla. Ma prevalso Silla essi si trovarono alla mercé del nemico. Silla, per vendicarsi, inviò un esercito, al comando di Gneo Pompeo, per punire la città di Termini e distruggerla. Quando le milizie furono alle porte della città, Stenio si presentò, solo, a Pompeo e gli disse: Non punire, o Pompeo, la mia città. Io solo sono il colpevole, perché io solo persuasi i miei concittadini a seguire le sorti di Mario. Punisci me solo. Pompeo, ammirando la generosa lealtà di Stenio, non solo risparmiò ogni offesa a Termini, ma volle annoverare Stenio fra i suoi amici. Questo episodio, raro esempio di coraggio civile, tramandatoci da Plutarco, è uno dei più memorabili fatti che onorano la nostra gente.

Enrico  Albanese (Palermo1834-1896)
Chirurgo, patriota, filantropo. Cospiratore dei moti del 4 aprile 1860. Seguì Garibaldi anche in prigionia. Ad Aspromonte gli curò la ferita. Intermediario fra Garibaldi e Vittorio Emanuele II. Valoroso medico e combattente fino a Bezecca, meritò alte lodi ed attenzioni ufficiali. Fronteggiò a Palermo, noncurante di sè, le epidemie coleriche del 1867 e 1385. Professore di anatomia topografica dell’Ateneo palermitano e Direttore della Clinica chirurgica. Aprì per primo in Sicilia la lotta contro la tubercolosi. Fondò pertanto l’Ospizio Marino, che porta il suo nome, per la difesa della razza e per il recupero dei deformi. Fu rimpianto dagli umili da lui beneficati e dagli eminenti uomini del suo tempo, fra cui Giosuè Carducci.

Guglielmo  Albimonte  &  Francesco Salomone
Il primo palermitano e il secondo da Sutera (Caltanissetta), furono due dei tredici Italiani, i quali, nella famosa disfida di Barletta del 13 febbraio 1503, vinsero i Francesi, che avevano inopinatamente vilipeso il valore della nostra gente. Essi, insieme, uccisero il primo Francese e costrinsero gli altri alla resa tirandoli giù da cavallo.

Michele Amari (Palermo 1806 - Firenze 1889)
Illustre storico arabista e uomo politico insigne. Agitò teorie, federaliste. Costrette ad esulare, tornò, in patria. nel 1843. Di nuovo esule Parigi compose l’opera sua più importante «Storia dei Musulmani in Sicilia». Ritornato, in Sicilia con Garibaldi, fu ministro sotto la sua dittatura (1860). In seguito fu deputato, senatore, ministro della P. I. del Regno. Storico profondo e geniale e narratore efficace, lasciò «La storia del Vespro siciliano» e altre opere minori sulla storia dell’Isola, tra l’altro «Le epigrafi arabiche di Sicilia trascritte, tradotte e illustrate».

Stanislao Cannizzaro (Palermo 1826 - Roma 1910)
Sommo chimico. Terzo dopo Volta e Matteucci, ebbe dall’Associazione Britannica la «Medaglia Copley» e la «Medaglia Lovoisier» dell’Istituto di Francia. Patriota del 1848 a Palermo, e deputato. Dovette poi fuggire a Marsiglia. Preparò col suo sale, la calcio-cianamite. Scoprì la regola per la preparazione degli alcolici aromatici (Reazione Cannizzaro). In un congresso mondiale di chimici dimostrò - sostenendo ardite polemiche - la nessuna differenza tra chimica organica e inorganica, nonché la determinazione dei pesi atomici. Fece ravvedere da false teorie i chimici del suo tempo, traendone realistiche conseguenze. «Dalla scuola di tale illustre ingegno nacquero risultati e si formarono uomini che influirono non solo sulla chimica italiana ma anche su quella mondiale». Tenne la cattedra dell’Università di Palermo. Poi a Roma, ove formò il primo laboratorio di chimica, con criteri moderni. Scrisse opere di massima importanza sulla materia da lui trattata.

Stesicoro (Imera 638 a.C. - Catania 555 a.C.)
Suo vero nome fu Tisia, soprannominato Stesicoro, che significa ordinatore di cori. A lui spetta la determinazione della forma triadica della lirica corale. Poeta grandissimo, fu reputato il secondo Omero. Dell’opera sua in 26 libri (di cui ne rimangono pochi frammenti) si ricordano i componimenti di forma narrativa: «Giochi funebri in onore di Pelia» «Caduta di Troia» «Ritorni» «Elena» «Palinodia». Scrisse nel dialetto dei greci-dorici, ma rivoluzionò il linguaggio e il contenuto della melica corale. La statua che gli Imeresi gli eressero fu ammirata e descritta da Cicerone: «... Stesicoro - scrisse costui - il cui nome e la cui fama sono in così grande onore in tutta la Grecia».

Antonio Veneziano (Monreale 1543 - Palermo 1593)
Studiò a Monreale, a Palermo, a Messina, a Roma dove dettò lezioni di belle lettere. A Padova professò l’eloquenza. Temperamento irrequieto. Recatosi per mare, in Ispagna con Don Carlo d’Aragona, fu tratto prigioniero ad Algeri, per qualche anno. Le sue ingegnose satire politiche gli procurarono l’esilio perpetuo a Pantelleria, ma per intercessione della nobiltà ne fu richiamato. Ma poi fu rinchiuso nelle prigioni di Castellammare a Palermo, dove perì per lo scoppio della polveriera. Scrisse molto in latino, gareggiando con i migliori umanisti del suo secolo; in greco, in italiano e in siciliano. La sua fama è affidata ai suoi «proverbi», e alle poesie in dialetto, in ispecie del suo volume «Celia».

Lionardo Vigo (Acireale 1799 - 1879)
Fu scrittore di profonda e vasta erudizione. Ebbe alto sentimento del valore e della grandezza della propria Isola. E, come Gioberti per l’Italia, egli nel suo poema «Atlantide» rimasto manoscritto, affermò il primato della Sicilia nella civiltà dell’Europa meridionale. In tutte le sue manifestazioni egli portò l’impronta di sicilianità e l’orgoglio della propria terra. Attribuì grande importanza allo studio delle tradizioni e dei costumi popolari, e lasciò una copiosa raccolta dei canti popolari tradizionali. Ardente poeta scrisse un poema «Ruggero» nel quale s’ispirò all’indipendenza della Sicilia.

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